mercoledì 21 ottobre 2009

Made in Italy: tutela e valorizzazione dei prodotti come antidoto alla crisi economica

La tutela del “Made in Italy” è di importanza prioritaria quale strumento di valorizzazione della competitività dell’industria italiana, soprattutto nell’attuale contesto di globalizzazione dei mercati e del conseguente inasprirsi della concorrenza internazionale. Su questo tema Confindustria è particolarmente sensibile e da tempo ha posto in atto azioni concrete a sostegno del “Made in Italy”, sia a livello nazionale che comunitario. Al fine di fare il punto sulla crescente importanza della questione e per discutere degli interventi legislativi atti allo scopo Confindustria ha organizzato oggi il Convegno “Tutela e valorizzazione del Made in Italy: trasparenza e competitività” tenutosi presso L'Auditorium Della Tecnica, la propria sede di Roma.
L’incontro, é stato aperto da Paolo Zegna, vice-presidente per gli affari internazionali di Confindustria e ha visto la partecipazione dei Ministri per le Politiche Europee, Andrea Ronchi e per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola oltre che di rappresentanti del mondo sindacale, ed imprenditoriale, tra i quali Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, e Giorgio Natalino Guerrieri, presidente Confartigianato.
Nel corso del dibattito si è inteso fare il punto sul "Made in Italy", come volano per la competitività e come strumento di informazione al consumatore, oltre che per rendere sinergiche le iniziative legislative a livello nazionale e comunitario; si è voluto inoltre definire una strategia condivisa ed efficace per l'approvazione della proposta di Regolamento Ue " Etichettatura obbligatoria all'import nella Ue di alcuni prodotti importati da paesi terzi, progetto quest'ultimo partorito dopo lunghe consultazioni sull'argomento tra industria, sindacati, consumatori ed altre istituzioni.  Questo regolamento ha proposto l'introduzione di un sistema di marchio d'origine obbligatorio: tale sistema riguarda un certo numero di settori, tra i quali spiccano soprattutto i manufatti tessili ed è applicabile eclusivamente alle merci importate. Ha tessuto l'elogio di quest' intervento legislativo comunitario in primis il Ministro per Le Politiche Comunitarie, "il finiano" Andrea Ronchi, un opzione che a conti fatti, prende meglio in considerazione gli interessi della maggior parte degli interessati, siano essi industrie, sindacati o associazioni dei consumatori e che limita allo stesso tempo i possibili costi ed effetti negativi per gli altri attori in gioco( industrie comunitarie che hanno trasferito la produzione al di fuori dell'Unione).
La mano del legislatore comunitario secondo lo stesso Ronchi si è resa necessaria in quanto la Comunità Europea si poneva in condizioni di svantaggio rispetto ai suoi partner commerciali, ( Canada, Cina,Giappone e Stati Uniti), avendo questi ultimi già previsto l'apposizione di un marchio d'origine sulle merci importate: quindi gli esportatori europei di conseguenza sono tenuti a rispettare tale obbligo ed appunto ad apporre il marchio sui loro prodotti.  Il marchio d'origine servirà a impedire che la  reputazione dell'industria comunitaria venga intaccata da indicazioni di origine inesatte e ingannevoli; esso faciliterebbe inoltre la scelta dei consumatori e contribuirebbe a ridurre il numero di indicazioni fraudolente.
Per quanto riguarda le politiche di sostegno nazionali al "Made In Italy" è stato Claudio Scaiola a relazionare illustrando i contenuti di una campagna di promozione delle eccellenze italiane, " If you speak fashion, you speak Italian':" se parli di moda, parli di Italia. É questo il titolo della campagna di comunicazione presentata già in anteprima il 29 settembre 2009 dallo stesso Ministro dello Sviluppo Economico, e dal Presidente dell' Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE), Umberto Vattani, destinata a sostenere la moda italiana negli Stati Uniti. Il progetto ICE ha come target prioritario il mercato statunitense, con uno stanziamento di oltre 3,5 milioni di dollari USA e copre il periodo ottobre 2009-aprile 2010 sviluppandosi lungo tre direttrici: azioni per stimolare gli acquisti di prodotti moda italiani da parte di compratori USA; azioni per stimolare la vendita diretta di prodotti italiani negli USA; campagne di comunicazione e immagine per rilanciare il sogno italiano, l''Italian Dream', nell'immaginario dei consumatori USA. Ha inoltre continuato elencando gli interventi legislativi messi in atto in materia dal governo di cui fa parte, tra i quali spicca l'istituzione di un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti ed intermedi nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, che evidenzi il luogo d'origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi.
Al termine del convegno è iniziata la tavola rotonda sullo stesso argomento alla quale ha preso parte anche Emma Mercegaglia, presidente Confindustria, la quale ha dichiarato ''Noi chiederemo al governo di sostenere con forza l'approvazione di un 'made in' a livello europeo'', di modo che tutti i paesi abbiano la stessa normativa e che si capisca bene la provenienza delle merci''.

Riferendosi al made in Italy la leader di Confindustria ha sostenuto che ''e' una grande forza di questo paese e noi pensiamo che tutte le normative che lo sostengono e che premiano la trasparenza per il consumatore, che deve sapere quello che compra, sono importanti e giuste''.

La Marcegaglia ha poi ricordato che ''e' stato raggiunto un compromesso qualche mese fa col governo per una norma che chiarisce come gestire i marchi, quando scrivere made in Italy o made in China. Dal nostro punto di vista e' una proposta positiva che va portata avanti e non va stravolta''. Si é inoltre concessa un piccolo fuori tema rispondendo alle parole del Ministro Tremonti che in una dichiarazione rilasciata ad un giornale si era dichiarato favorevole alla cultura del posto fisso contraddicendo a quella che è la sua impostazione ideologica e culturale.  " Cultura del posto fisso nefasta” cosi' l'ha definito la stessa presidente degli Industriali -che ha continuato cosi'  “Ovviamente nessuno è a favore della precarietà e dell'insicurezza, in un momento particolare come questo. Però noi siamo per la stabilità delle imprese e dei posti di lavoro, che peraltro non si fa per legge”, ha aggiunto Marcegaglia, elencando poi i problemi che ''la cultura del posto fisso” ha portato in Italia: ''un aumento della disoccupazione, del sommerso per esempio nel Mezzogiorno, e ha creato nella pubblica amministrazione questa logica dell'assenteismo e dei fannulloni tanto deprecabile”. La leader degli industriali si è detta favorevole ad una ''flessibilità regolata e tutelata, come quella fatta con Treu e Biagi, che ha creato tre milioni di posti di lavoro". In merito al peso della precarietà nei diversi settori, la leader degli industriali ha voluto ''sottolineare che l'industria è quella che fa più lavoro stabile; il grosso del precariato è nell'università, nella pubblica amministrazione e nella scuola. Bisogna dare una risposta a quello”. Per Marcegaglia ''la forza di questo paese non è la cultura del posto fisso, ma sta nei cinque milioni di piccoli e medi imprenditori che rischiano e vanno sul mercato e cercano di fare tutto il possibile anche in un momento come questo”.

''Una economia come quella italiana, resta da una realtà manifatturiera molto importante, deve poter contare su lavoratori stabili, soddisfatti e ben retribuiti”,  risponde così, a margine del convegno di Confindustria, ad Emma Marcegaglia, secondo la quale ''la cultura del posto fisso è un ritorno al passato”. Secondo Bonanni ''flessibilità e stabilità possono stare insieme, ma non possono farlo flessibilità e instabilità non retribuita, altrimenti diventa precarietà''.  La flessibilità, ha spiegato il leader della Cisl, ''si impone dentro un quadro di stabilità del lavoro, che vuol dire una maggiore retribuzione di quello flessibile”.  Per questo motivo, aggiunge Bonanni, ''a Tremonti chiediamo una detassazione maggiore per questi dipendenti e a Confindustria chiediamo di aumentarne i salari, perchè se bisogna pagare di più chi merita di più non c'è chi merita di più di un lavoratore flessibile”.

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